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23—02—21
LOST TAPES FROM THE NEAPOLITAN – LUCANIAN AVANT-GARDE & NEW WAVE BAND MADE BETWEEN 1983 – 1985
Naples 1982, the earthquake leaves rubble and dismay, unease and misery, smuggling and heroin.
The reconstruction is a shadow that will last more than a decade, it is a shady deal between bureaucrats and criminals.
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La ricostruzione è un’ombra lunga più di un decennio, e un affare losco tra burocrati e malavitosi.
Napoli è un cantiere a cielo aperto e il riscatto dietro l’angolo, a passo di tango argentino, nella fantasia, nella cabala, nei più stretti vicoli dei sogni, è di là da venire. C’è la musica-musica del neapolitan power, che conquista la ribalta nazionale, e un enigma chiamato VESUWAVE, oscuro e marginale (soprattutto per chi non l’ha vissuto), che tale resta, a distanza di anni.
Napoli non è un paese per giovani band, per niente avvezze alla tradizione, al bel canto, e l’industria discografica abita un mondo platonico e incorruttibile, oltre la volta celeste.
Così, cinque lucani di Potenza e dintorni, e tre Napoletani – un numero spropositato di ‘cape’ toste – si battezzano Little Italy, probabilmente in omaggio alla Little Italy per antonomasia, quella di New York, imparentandosi ai vari Talking Heads, Contorsions, Polyrock, B-52’s, Konk, Liquid Liquid. Si concedono la libertà di sperimentare calcando i palchi dei Festival della Penisola più attenti alle nuove onde, ma anche quelli di trasmissioni mainstream, quali il ‘Costanzo Show’ e ‘L’Orecchiocchio’, sfoggiando perizia tecnica e pose ieratiche. Non passano inosservati, insomma, ma a dispetto della gavetta e dei chilometri macinati in tre anni di attività (82/85), riescono a immortalare su microsolco un paio di brani e nulla più.
Fragments è una compilation con materiale d’archivio che Futuribile Records stampa su vinile dopo aver rintracciato e restaurato vecchi nastri inediti dell’epoca, messi a disposizione dagli stessi membri della band. La raccolta, contenente sette tracce, mette in luce una band in continua trasformazione, pur nel suo breve volgere, e ne tratteggia pulsioni e capacità. I Little Italy hanno una sezione fiati che conferisce vivacità cromatica, un groove chitarristico tipicamente mutant funk, due voci femminili fatali e svampite che parlano molte lingue (inglese, francese, italiano) e recitano collage di testi criptici, o per meglio dire “fragments”, evocando la modernità attraverso no-sense e citazionismo colto; un fremito funk nelle basslines e un drumming che non disdegnano il battito disco e sornione di certa italo da easy listening, elegante e raffinata. Un sound sofisticato, al giusto grado di fusione, propriamente New Wave, che nei passaggi più newyorchesi, ricorda quello vulcanico e sudaticcio dei coevi e (in parte) concittadini Bisca, altra band fuoriuscita dal coro. Il vento caldo del Mediterraneo che soffia su alcune tracce ne certifica la provenienza, e l’esotismo porta la band ad abbeverarsi all’oasi dell’evasione.
Del resto proprio l’evasione – da un mondo che non contempla la banalità – è la summa del pensiero ‘80. (A cura di Fabio Astore)
Napoli è un cantiere a cielo aperto e il riscatto dietro l’angolo, a passo di tango argentino, nella fantasia, nella cabala, nei più stretti vicoli dei sogni, è di là da venire. C’è la musica-musica del neapolitan power, che conquista la ribalta nazionale, e un enigma chiamato VESUWAVE, oscuro e marginale (soprattutto per chi non l’ha vissuto), che tale resta, a distanza di anni.
Napoli non è un paese per giovani band, per niente avvezze alla tradizione, al bel canto, e l’industria discografica abita un mondo platonico e incorruttibile, oltre la volta celeste.
Così, cinque lucani di Potenza e dintorni, e tre Napoletani – un numero spropositato di ‘cape’ toste – si battezzano Little Italy, probabilmente in omaggio alla Little Italy per antonomasia, quella di New York, imparentandosi ai vari Talking Heads, Contorsions, Polyrock, B-52’s, Konk, Liquid Liquid. Si concedono la libertà di sperimentare calcando i palchi dei Festival della Penisola più attenti alle nuove onde, ma anche quelli di trasmissioni mainstream, quali il ‘Costanzo Show’ e ‘L’Orecchiocchio’, sfoggiando perizia tecnica e pose ieratiche. Non passano inosservati, insomma, ma a dispetto della gavetta e dei chilometri macinati in tre anni di attività (82/85), riescono a immortalare su microsolco un paio di brani e nulla più.
Fragments è una compilation con materiale d’archivio che Futuribile Records stampa su vinile dopo aver rintracciato e restaurato vecchi nastri inediti dell’epoca, messi a disposizione dagli stessi membri della band. La raccolta, contenente sette tracce, mette in luce una band in continua trasformazione, pur nel suo breve volgere, e ne tratteggia pulsioni e capacità. I Little Italy hanno una sezione fiati che conferisce vivacità cromatica, un groove chitarristico tipicamente mutant funk, due voci femminili fatali e svampite che parlano molte lingue (inglese, francese, italiano) e recitano collage di testi criptici, o per meglio dire “fragments”, evocando la modernità attraverso no-sense e citazionismo colto; un fremito funk nelle basslines e un drumming che non disdegnano il battito disco e sornione di certa italo da easy listening, elegante e raffinata. Un sound sofisticato, al giusto grado di fusione, propriamente New Wave, che nei passaggi più newyorchesi, ricorda quello vulcanico e sudaticcio dei coevi e (in parte) concittadini Bisca, altra band fuoriuscita dal coro. Il vento caldo del Mediterraneo che soffia su alcune tracce ne certifica la provenienza, e l’esotismo porta la band ad abbeverarsi all’oasi dell’evasione.
Del resto proprio l’evasione – da un mondo che non contempla la banalità – è la summa del pensiero ‘80. (A cura di Fabio Astore)